La normativa sulla tutela dei beni paesaggistici sostanzialmente si basa sul decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che, sulla base della delega contenuta nell’articolo 10 della legge n. 137/2002, ha introdotto il “codice dei beni culturali e del paesaggio”, meglio noto come “codice Urbani”.
Il “codice Urbani” si presenta, da un punto di vista sistematico, come la diretta attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, ai sensi del quale la Repubblica Italiana “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
Tale dettato costituzionale, pur con i suoi evidenti limiti, costituisce tuttora, dopo quasi 60 anni dalla sua entrata in vigore, il cardine dogmatico di tutto il diritto ambientale nonché il baluardo giuridico della tutela del patrimonio naturalistico italiano. L’espressione “paesaggio” contenuta nel suindicato articolo 9, infatti, non deve essere riferita solo a ciò che attiene alla forma esteriore ed estetica del territorio, ma deve essere interpretata in una accezione più generale con il significato di ambiente.
In ogni caso la centralità del paesaggio e la rilevanza della sua tutela tra i valori costituzionalmente garantiti sono principi da sempre riconosciuti nell’ordinamento giuridico della Repubblica. Centralità riconosciuta anche da un consolidato orientamento della Corte Costituzionale, ai sensi del quale la tutela del bene paesaggistico è elevata a valore primario dell’ordinamento, non è suscettibile di essere subordinata ad altri interessi e costituisce un interesse pubblico fondamentale, primario ed assoluto che va salvaguardato nella sua interezza.
Recentemente, poi, tali principi sono stati riaffermati anche in una importante sentenza della sesta Sezione del Consiglio di Stato, secondo la quale l’articolo 9 della Costituzione erige il valore estetico-culturale del bene paesaggistico a valore primario dell’ordinamento; da ciò ne discende che la tutela del paesaggio, che sovrintende a superiori interessi pubblici, deve realizzarsi a prescindere da ogni valutazione dei singoli interessi privati.
Il nuovo codice, inoltre, ha armonizzato la normativa quadro in materia di tutela del paesaggio con le disposizioni contenute nel nuovo titolo V della seconda parte della Costituzione. Infatti, il “codice Urbani”, in coerenza con le competenze esclusive dello Stato e delle Regioni come delineate dal nuovo articolo 117 della Costituzione,1 riparametra l’ambito dell’intervento pubblico e ridefinisce l’attribuzione delle funzioni amministrative in materia di tutela, conservazione e valorizzazione del “patrimonio culturale”, sulla base anche del principio di sussidiarietà e di adeguatezza previsto dall’articolo 118 della Costituzione.2
Il corpus normativo in materia di tutela paesaggistica, che ricomprende anche l’articolo 734 del codice penale, è stato recentemente integrato con l’approvazione della legge n. 36/2004, recante il “nuovo ordinamento del Corpo Forestale dello Stato”. Tale legge, infatti, assegna espressamente al Corpo Forestale dello Stato, in qualità di Forza di polizia specializzata nella tutela del paesaggio, la competenza istituzionale relativa alla vigilanza sul rispetto della normativa nazionale ed internazionale concernente la salvaguardia delle risorse paesaggistiche della nazione. Il legislatore, con questa integrazione, ha individuato nel Corpo Forestale dello Stato un ulteriore organo statale di controllo specializzato nella tutela del paesaggio. Organo, è bene sottolineare, di polizia, professionalmente specializzato, estraneo al procedimento autorizzatorio e presente in modo ramificato sul territorio, ma al tempo stesso svincolato dagli interessi territoriali e dalle pressioni locali.
Il “codice Urbani”
Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio è entrato in vigore il 1° maggio 2004, è composto da 184 articoli ed è suddiviso in cinque parti.
La parte prima contiene le disposizioni generali.
La parte seconda e la parte terza, invece, disciplinano rispettivamente i beni culturali in senso stretto e i beni paesaggistici, che qui interessano.
La parte quarta è relativa alle sanzioni amministrative ed a quelle penali.
La parte quinta, infine, contiene le disposizioni transitorie e finali.
La principale innovazione introdotta dal nuovo codice consiste nel considerare il paesaggio come parte integrante del patrimonio culturale.
Ai sensi dell’articolo 2, infatti, il patrimonio culturale della Repubblica è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.
Altra importante novità del nuovo codice consiste nell’aver definito per la prima volta il significato giuridico sia di “tutela” e che di “valorizzazione” dei beni paesaggistici.
Per tutela si intende l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette ad individuare i beni paesaggistici ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione. L’esercizio di queste funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare ed a regolare diritti e comportamenti inerenti ai beni paesaggistici medesimi.
Per valorizzazione, invece, si intende l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza dei beni paesaggistici e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica dei beni medesimi. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione. Ovviamente, la valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le relative esigenze.
Il nuovo codice, inoltre, abrogando e sostituendo completamente il decreto legislativo n. 490/1999, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, pone definitivamente ordine alla complessa materia connessa alla tutela paesaggistica ed introduce nell’ordinamento giuridico una disciplina sistematica ed unitaria.
Le altre disposizioni in materia di tutela del paesaggio contenute nel nuovo codice sono, in sintesi, le seguenti.
Le Autorità preposte
L’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni paesaggistici sono attribuite al Ministero per i Beni e le attività culturali, che le esercita direttamente o ne può conferire l’esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento. Spettano al Ministero anche la definizione delle politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio e la funzione di vigilanza sui beni paesaggistici tutelati.
Le Soprintendenze, strutture periferiche del Ministero, perdono il potere di annullare le autorizzazioni paesaggistiche già concesse, ma acquisiscono quello di fornire un parere preventivo ed obbligatorio per il rilascio delle stesse. Tale parere, tuttavia, non solo diviene eventuale decorsi i sessanta giorni assegnati, ma è anche non vincolante e può essere quindi eventualmente disatteso dall’organo di amministrazione attiva (la Regione o l’ente locale delegato) attraverso un’adeguata e dettagliata motivazione. Tale previsione è particolarmente delicata perché significa che anche un ufficio tecnico di un piccolo Comune può, sebbene con adeguata motivazione, disattendere il parere dell’organo statale titolare della più alta competenza in materia. In tal modo viene in parte svilita la competenza del Ministero che risulta così privato di quella funzione di “estrema difesa del vincolo”, che costituiva uno dei principi cardine del precedente sistema di tutela del paesaggio.
Le Regioni, invece, assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine, le Regioni cooperano con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela esercitando le relative funzioni amministrative e provvedono a promuovere la conoscenza dei beni paesaggistici ai fini della fruizione pubblica degli stessi nonché a sostenere gli interventi di valorizzazione e di conservazione dei beni medesimi.
Le Regioni, inoltre, sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale.
Le Regioni, infine, vigilano sull’ottemperanza alle disposizioni contenute nel presente codice da parte delle Amministrazioni da loro individuate per l’esercizio delle competenze in materia di paesaggio.
I Comuni, accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento ed acquisito il parere della Soprintendenza competente per territorio, rilasciano la prescritta autorizzazione. I Comuni, inoltre, unitamente agli altri enti territoriali ed agli enti gestori delle aree naturali protette, conformano ed adeguano i propri strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici, introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che risultino utili ad assicurare l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani.
Infine, il nuovo codice obbliga tutte le amministrazioni pubbliche competenti in materia a cooperare tra loro per la definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi.
I beni paesaggistici sottoposti a tutela
Innanzitutto, ai fini del nuovo codice, per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni.
Ai sensi dell’articolo 134 del nuovo codice, si considerano beni paesaggistici e quindi sottoposti a tutela:
a) gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico indicati nel successivo articolo 136;
b) le aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico ed indicate nel successivo articolo 142;
c) gli immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai singoli piani paesaggistici.
Ai fini dell’individuazione dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, si rammenta che, per l’articolo 136, si considerano immobili ed aree di notevole interesse pubblico:
a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica;
b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della
Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
d) le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Invece, per aree tutelate direttamente per legge, ai sensi dell’articolo 142, si intendono:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto n. 1775/1933, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali e i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativi n. 227/2001;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell’elenco previsto dal D.P.R. n. 448/1976;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico individuate alla data del 1° maggio 2004.
La pianificazione paesaggistica
I piani paesaggistici definiscono le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile. Ai sensi dell’articolo 143 del nuovo codice, il piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati. In funzione dei diversi livelli di valore paesaggistico riconosciuti, il piano attribuisce a ciascun ambito corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica.
In particolare, gli obiettivi di qualità paesaggistica prevedono:
a) il mantenimento delle caratteristiche, degli elementi costitutivi e delle morfologie, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, nonché delle tecniche e dei materiali costruttivi;
b) la previsione di linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili con i diversi livelli di valore riconosciuti e tali da non diminuire il pregio paesaggistico del territorio, con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO e delle aree agricole;
c) il recupero e la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, al fine di reintegrare i valori preesistenti ovvero di realizzare nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati con quelli.
I piani paesaggistici hanno un contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo e la loro elaborazione si articola nelle seguenti fasi:
a) ricognizione dell’intero territorio attraverso l’analisi delle sue caratteristiche e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare;
b) analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio;
c) individuazione degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica;
d) definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati;
e) determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico;
f) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate;
g) individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, ai fini dello sviluppo sostenibile delle aree interessate;
h) individuazione di eventuali categorie di immobili o di aree, diverse da quelle indicate dal presente codice, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione.
I piani paesaggistici, inoltre, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio, individuano distintamente le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico e quelle per le quali il piano medesimo definisce anche parametri vincolanti per le specifiche
previsioni da introdurre negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento.
I suddetti piani individuano inoltre:
a) le aree tutelate nelle quali la realizzazione delle opere e degli interventi consentiti, in considerazione del livello di eccellenza dei valori paesaggistici o della opportunità di valutare gli impatti su scala progettuale, richiede comunque il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
b) le aree nelle quali, invece, la realizzazione di opere ed interventi non richiede il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Ovviamente, nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici sono assicurate la concertazione istituzionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 349/1986 e ampie forme di pubblicità (articolo 144).
Rapporti tra il piano paesaggistico e gli altri strumenti di pianificazione
L’articolo 145 del nuovo codice prevede che i piani paesaggistici contemplino anche le misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con gli strumenti nazionali e regionali di sviluppo economico.
In ogni caso le previsioni contenute nei piani paesaggistici:
a) sono cogenti per gli strumenti urbanistici degli enti locali;
b) sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici;
c) stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici;
d) sono vincolanti per gli interventi settoriali;
e) sono, ai fini della tutela del paesaggio, prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione territoriale e di settore.
Quanto ai rapporti tra atto impositivo del vincolo paesaggistico e piano paesaggistico, bisogna sottolineare che, mentre il vincolo costituisce il provvedimento con il quale, attraverso il potere conformativo della pubblica amministrazione, si sottopone il diritto di proprietà ad una serie di limitazioni, prima fra tutte quella che configura il divieto di alterare o di distruggere il bene vincolato senza la prescritta autorizzazione della Regione o, su sua delega, del Comune, il piano, invece, rappresenta il principale strumento di attuazione della protezione delle bellezze naturali. Esso presuppone l’imposizione del vincolo e rappresenta lo strumento di regolamentazione generale dei beni immobili che sono assoggettati allo speciale regime di controllo amministrativo.
In sostanza, mentre il vincolo paesaggistico costituisce il mezzo diretto di conservazione e tutela del bene protetto, il piano ne rappresenta una conseguenza. Esso è uno strumento di operatività, in una logica di programmazione delle attività di tutela che sottrae la salvaguardia del bene paesaggistico alla episodicità del singolo provvedimento autorizzatorio.
La gestione dei beni paesaggistici
Ai sensi dell’articolo 146 del nuovo codice, i proprietari, i possessori o i detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree sottoposti a tutela dalle disposizioni contenute nel piano paesaggistico o tutelati per legge non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione e hanno l’obbligo di sottoporre alla regione o all’ente locale al quale la regione ha affidato la relativa competenza i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione.
La domanda di autorizzazione dell’intervento deve indicare lo stato attuale del bene interessato, gli elementi di valore paesaggistico presenti, gli impatti sul paesaggio delle trasformazioni proposte e gli elementi di mitigazione e di compensazione necessari.
L’amministrazione competente nell’esaminare la domanda di autorizzazione verifica la conformità dell’intervento alle prescrizioni contenute nei piani paesaggistici e ne accerta:
a) la compatibilità rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo;
b) la congruità con i criteri di gestione dell’immobile o dell’area;
c) la coerenza con gli obiettivi di qualità paesaggistica.
L’amministrazione, accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento ed acquisito il parere della apposita commissione per il paesaggio, entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, trasmette la proposta di autorizzazione, corredata dal progetto e dalla relativa documentazione, alla competente Soprintendenza, dandone notizia agli interessati. Tale ultima comunicazione costituisce avviso di inizio del relativo procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge n. 241/1990. Qualora l’amministrazione verifichi che la documentazione allegata non corrisponda a quella prevista, chiede le necessarie integrazioni; in tal caso, il predetto termine è sospeso dalla data della richiesta fino a quella di ricezione della documentazione. L’amministrazione, qualora lo ritenga necessario, può acquisire documentazione ulteriore rispetto a quella prevista e può effettuare ulteriori accertamenti.
La Soprintendenza comunica il parere entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla ricezione della proposta di cui sopra. Decorso inutilmente il termine per l’acquisizione del parere, l’amministrazione assume comunque le determinazioni in merito alla domanda di autorizzazione.
L’autorizzazione è rilasciata o negata dall’amministrazione competente entro il termine di venti giorni dalla ricezione del parere della Soprintendenza e costituisce atto distinto e presupposto della concessione o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa.
Decorso inutilmente il suindicato termine di venti giorni, è data facoltà agli interessati di richiedere l’autorizzazione alla Regione, che provvede anche mediante un commissario ad acta entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta.
Laddove la Regione non abbia affidato agli enti locali la competenza al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la richiesta di rilascio in via sostitutiva è presentata alla competente Soprintendenza.
L’autorizzazione paesaggistica:
a) diventa efficace dopo il decorso di venti giorni dalla sua emanazione;
b) è trasmessa in copia alla Soprintendenza che ha emesso il parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente al parere, alla Regione ed alla Provincia e, ove esistenti, alla comunità montana e all’ente parco nel cui territorio si trova l’immobile o l’area sottoposti al vincolo;
c) non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
Si rammenta che l’autorizzazione paesaggistica è impugnabile con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) o con ricorso straordinario al Capo dello Stato, dalle associazioni ambientaliste portatrici di interessi diffusi individuate ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 349/1986 e da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse. Il ricorso è deciso anche se, dopo la sua proposizione ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. Le sentenze e le ordinanze del T.A.R. possono essere impugnate da chi sia legittimato a ricorrere avverso l’autorizzazione paesaggistica, anche se non abbia proposto il ricorso di primo grado.
Presso ogni Comune è istituito un elenco, aggiornato almeno ogni sette giorni e liberamente consultabile, in cui è indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione paesaggistica, con la annotazione sintetica del relativo oggetto e con la precisazione se essa sia stata rilasciata in difformità dal parere della Soprintendenza. Copia dell’elenco è trasmessa trimestralmente alla Regione e alla Soprintendenza, ai fini dell’esercizio delle funzioni di vigilanza.
Si rammenta che tali disposizioni si applicano anche alle istanze concernenti le attività minerarie di ricerca ed estrazione, ma non per le attività di coltivazione di cave e torbiere. Per tali attività, infatti, restano ferme le potestà del Ministero dell’Ambiente ai sensi della normativa in materia, che sono esercitate tenendo conto delle valutazioni espresse, per quanto attiene ai profili paesaggistici, dalla competente
Soprintendenza.
Qualora la richiesta di autorizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali, ivi compresi gli alloggi di servizio per il personale militare, l’autorizzazione viene rilasciata in esito ad una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge n. 241/1990 (articolo 147).
Ai sensi dell’articolo 149, non è, invece, richiesta l’autorizzazione paesaggistica:
a) per gli interventi di manutenzione, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici;
b) per gli interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio;
c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia.
Nel caso di aperture di strade e di cave, nel caso di condotte per impianti industriali e di palificazione nell’ambito o in prossimità degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico di cui al suindicato articolo 136, la Regione o il Ministero per i Beni e le attività culturali hanno facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d’esecuzione, le quali, tenendo in debito conto l’utilità economica delle opere già realizzate, valgano ad evitare pregiudizio ai beni protetti da questo codice (articolo 152).
Inoltre, nell’ambito e in prossimità dei beni paesaggistici nonché lungo le strade site in tali ambiti è vietato collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari se non previa autorizzazione dell’amministrazione competente individuata dalla Regione (articolo 153).
Infine, si rammenta che l’amministrazione competente individuata dalla Regione può ordinare che, nelle zone in cui ricadono dei complessi immobiliari aventi un caratteristico valore estetico e tradizionale e nelle aree in cui insistono delle bellezze panoramiche, dei punti di vista o di belvedere, sia dato alle facciate dei fabbricati, il cui colore rechi disturbo alla bellezza dell’insieme, un diverso colore che con quella armonizzi (articolo 154).
La inibizione e la sospensione dei lavori
L’articolo 150 del nuovo codice contiene una disposizione cautelativa che contempla la possibilità per la pubblica amministrazione competente in materia di emanare in via preliminare dei provvedimenti inibitori o sospensivi dei lavori incidenti su un bene ambientale. L’articolo 150, infatti, riconosce in capo alle Regioni ed al Ministero per i beni e le attività culturali la facoltà di:
a) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di pregiudicare il bene;
b) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida, la sospensione di lavori iniziati.
Tuttavia, il provvedimento di inibizione o sospensione dei lavori incidenti su beni paesaggistici od ambientali cessa di avere efficacia se entro il termine di novanta giorni l’Amministrazione emanante non abbia effettuato gli atti successivi di sua competenza.
Ovviamente, i suindicati provvedimenti inibitori o sospensivi sono comunicati anche al Comune del luogo in cui insiste il bene.
Le funzioni di vigilanza
Ai sensi dell’articolo 155, le funzioni di vigilanza sui beni paesaggistici tutelati dal “codice Urbani” sono esercitate dal Ministero e dalle Regioni.
Le Regioni vigilano sull’ottemperanza alle disposizioni contenute nel nuovo codice da parte delle amministrazioni da loro individuate per l’esercizio delle competenze in materia di paesaggio. L’inottemperanza o la persistente inerzia nell’esercizio di tali competenze comporta l’attivazione dei poteri sostitutivi.
Si rammenta, altresì, che ai sensi della legge n. 36/2004, anche il Corpo Forestale dello Stato, in qualità di Forza di polizia specializzata nella tutela del paesaggio, vigila sul rispetto della normativa nazionale ed internazionale concernente la salvaguardia delle risorse paesaggistiche della nazione.
Bisogna, però, sottolineare che la vigilanza esercitata dal Ministero e dalle Regioni deve essere intesa come mera attività di controllo in senso tecnico-amministrativo avente funzione preventiva in ordine alla esatta applicazione del procedimento autorizzatorione ed alla corretta gestione burocratica del vincolo.
La vigilanza esercitata dal Corpo Forestale dello Stato, invece, deve essere intesa come mera attività di polizia avente funzione repressiva degli illeciti penali ed amministrativi commessi in violazione della normativa posta a tutela dei beni paesaggistici.
Il sistema sanzionatorio
Le violazioni alle disposizioni in materia di beni paesaggistici contenute nel nuovo codice sono punite con la previsione delle seguenti sanzioni.
a) Articolo 167: in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dalla parte terza del presente codice, il trasgressore è tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese o, in alternativa, al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La scelta tra le due sanzioni viene operata dall’Autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica, nell’ambito del suo potere di intervento connotato da discrezionalità tecnica. In ogni caso, la somma è determinata previa perizia di stima e con l’ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un termine per provvedere. In caso di inottemperanza, l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d’ufficio per mezzo del Prefetto.
b) Articolo 168: chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni di cui al suindicato articolo 153 è punito con le sanzioni previste dall’articolo 23 del codice della strada, il quale prevede:
a) una sanzione pecuniaria da 343,35 euro a 1.376,55 euro per l’inosservanza delle disposizioni dettate direttamente dalla norma di legge;
b) una sanzione pecuniaria da 137,55 euro a 550,20 euro per l’inosservanza delle prescrizioni previste dal provvedimento autorizzatorio.
Oltre al pagamento della sanzione pecuniaria, il trasgressore o il proprietario o il possessore del fondo privato ove è stato collocato abusivamente il mezzo pubblicitario sono tenuti a rimuovere, a proprie spese, il mezzo pubblicitario entro 10 giorni dalla notifica dell’atto di diffida da parte dell’ente proprietario della strada. In caso di inottemperanza, l’ente proprietario provvede direttamente alla rimozione, addebitando le spese al trasgressore e, in solido, al proprietario o al possessore del suolo privato.
Nel caso in cui il mezzo pubblicitario sia stato collocato su suolo demaniale o su aree appartenenti agli enti proprietari delle strade, la rimozione avviene direttamente a cura del soggetto pubblico, con nota spese a carico del trasgressore, resa esecutiva con ordinanza-ingiunzione del Prefetto.
c) Articolo 181: chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’articolo 20 della legge n. 47/1985. Come è noto, tale articolo è stato abrogato dall’articolo 136 del Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. n. 380/2001) ed il suo contenuto sanzionatorio è stato sostanzialmente trasfuso nell’articolo 44 del medesimo provvedimento normativo.
L’articolo 44 del D.P.R. n. 380/2001 prevede tre distinte fattispecie di reato contravvenzionale:
a) l’ammenda fino a 10.329 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal Testo Unico in quanto applicabili nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
b) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5.164 euro a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
c) l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 euro a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio.
La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
Trattasi in sostanza di un reato di pericolo, la cui competenza ad accertare e reprimere spetta al Tribunale del luogo in cui si trovano i beni danneggiati.
In caso di sentenza di condanna, il Tribunale deve ordinare anche la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato.
La misura cautelare reale del sequestro preventivo di cui all’articolo 321 del codice di procedura penale è ammissibile per questo tipo di reato. Anche il sequestro probatorio di cui all’articolo 253 del codice di procedura penale del bene oggetto di intervento abusivo può essere validamente eseguito da un ufficiale di polizia giudiziaria, di sua iniziativa o su delega della competente autorità giudiziaria.
Il reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali
L’analisi completa relativa al corpus normativo in materia di tutela del paesaggio non può dirsi esaurita se prima non si prende in considerazione anche l’articolo 734 del codice penale che contempla, in via autonoma e parallela al “codice Urbani”, il reato contravvenzionale di distruzione o deturpamento di bellezze naturali.
Risponde di tale reato «chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualunque altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità».
L’autore di questo reato è punito con la semplice ammenda da 1.032 euro a 6.197 euro. È evidente l’estrema esiguità della pena edittale, poiché permette una facile oblazione ai sensi dell’articolo 162 del codice penale, con la relativa estinzione del reato, tramite il pagamento di un terzo della pena massima prevista, a fronte dell’inestimabile valore del bene ambientale distrutto o deturpato.
L’oggetto giuridico del reato di cui all’articolo 734 del codice penale è costituito dall’interesse dello Stato alla conservazione delle bellezze naturali.
L’evento del reato, invece, è l’alterazione o la distruzione delle bellezze naturali. Si configura, pertanto, come un reato di danno e non di pericolo, richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l’alterazione dei beni protetti dalla norma.
Conseguentemente, non è sufficiente per integrare gli estremi del reato né l’esecuzione di un’opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione od il deturpamento delle bellezze naturali.
La contravvenzione in questione è un reato a condotta libera, in quanto qualunque condotta, sia commissiva che omissiva, può essere idonea a ledere il bene ambientale tutelato. Inoltre, trattandosi di contravvenzione, per la sua punibilità è sufficiente la colpa, che è però esclusa dall’ignoranza incolpevole del provvedimento adottato dall’Autorità.
Come per la contravvenzione di cui all’articolo 181 del “codice Urbani”, la competenza ad accertare e reprimere questo reato spetta al Tribunale del luogo in cui si trovano i beni danneggiati.
Si ritiene possibile, infine, la coesistenza formale del reato in questione con quello previsto dall’articolo 181 del “codice Urbani”, in quanto diversa è la condotta sanzionata dalle due disposizioni.
L’articolo 734 del codice penale, infatti, integra un reato di danno, la cui sussistenza comporta l’accertamento della lesione effettiva del bene protetto dalla norma. La seconda, invece, si configura come un reato di pericolo, per il quale la polizia giudiziaria è tenuta ad accertare solo se determinate attività di trasformazione duratura del territorio o dei beni protetti siano state autorizzate o meno con un provvedimento dell’autorità preposta alla loro tutela. Quindi, nel primo reato il fatto lesivo consiste nella distruzione e nel deturpamento effettivo di bellezze naturali, nel secondo reato, invece, la fattispecie penale si configura con l’esecuzione di un’attività di trasformazione senza il prescritto assenso dell’Autorità amministrativa competente.
Note
1 L’articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Il successivo comma
3, invece, riserva alla potestà legislativa delle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
2 L’articolo 118, commi 3 e 4, stabilisce che “la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento fra Stato e Regioni nella materia della tutela dei beni culturali”.
Inoltre, “Stato, Regioni, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Tratto da:
Tutela del paesaggio: breve analisi della normativa vigente di Alessandro Cerofolini *
SILVÆ 247
Anno I – n. 2
Note di redazione
– Attualmente la tutela del paesaggio è normata del “Codice dei Beni culturali e del paesaggio ” (noto come “Codice Urbani”) emanato come Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che nei successivi quattro anni è stato modificato per ben due volte:
– nel 2006 con i Decreti Legislativi 24 marzo 2006, n. 156 (in relazione ai beni culturali) e n. 157 (in relazione al paesaggio),
– nel 2008 con i Decreti Legislativi 26 marzo 2008, n. 62 (in relazione ai beni culturali) e n. 63 (in relazione al paesaggio).
Link : Codice dei beni culturali e del paesaggio