Un complesso di motivazioni di natura ambientale correlate alla tutela fisiopsichica
dei cittadini, più ancora delle tradizionali funzioni di carattere estetico e ricreativo tradizionalmente associate alla presenza del verde arboreo, hanno portato alla ribalta dell’opinione pubblica in quest’ ultimi decenni, ed in modo sempre più crescente, l’interesse verso il verde urbano.
Questo aveva trovato una apposita disciplina, insieme ad altri standard urbanistici,
in un Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici risalente ad oltre quarant’anni fa
(D.M. 2 aprile 1968, G.U 65,16 aprile 1968, n. 97), col quale si intendeva stabilire un
preciso rapporto tra le costruzioni edilizie a carattere residenziale, e le aree
destinate ai servizi di interesse generale, comprendendo in questi anche la
presenza del verde arboreo che diveniva in tal modo uno degli elementi costitutivi
– insieme alle aree destinate ai parcheggi ed anche ad altre aree con finalità di
natura sociale – di quegli spazi pubblici che nella misura di 18 metri quadrati
complessivi, dovevano essere assicurati ad ogni residente.
La misura indicata veniva poi ripartita al suo interno in relazione all’interesse
rappresentato dalle diverse aree con destinazione pubblica, per cui 9 metri
quadrati dovevano esser riservati “per spazi pubblici attrezzati a parco e per il
gioco e lo sport.”
L’espressione “spazio pubblico attrezzato a parco”, per la sua genericità non può
dirsi espliciti con assoluta certezza la presenza del verde, o comunque la sua
entità, non essendo chiaro quale significato si debba attribuire alla parola parco.
L’esperienza dei piani regolatori ci consente ,peraltro, di affermare come i Comuni
abbiano interpretato l’espressione del decreto ministeriale con la dizione di” verde
attrezzato”, termine che esprime sì la necessità dell ‘esistenza del verde, ma non la
sua misura.
Con sicurezza si può affermare che non si tratta dell’impianto degli alberi in
quanto se ne è avvertita l’importanza in relazione a tutti quei servizi che le piante
silvane assicurano alla collettività per via della loro stessa esistenza, e cioè del
verde in quanto tale, ma di un verde, appunto, attrezzato, ossia di natura
pertinenziale ovvero destinato a costituire il contorno o la cornice esterna rispetto
al perseguimento di determinate finalità per le quali il verde è funzionale.
In altre parole, la dizione “spazio pubblico attrezzato a parco,” non significava
affatto che tale spazio pubblico vedesse nella sua totalità la copertura vegetale.
Non sarà, infatti, questo il significato, o la condizione, del verde attrezzato che si
potrà evincere dalle prescrizioni dei piani regolatori, ai quali prima abbiamo
accennato. E d’altra parte occorrerà riconoscere che il verde, per effetto della
stessa disciplina prevista nel decreto del ‘68, si poneva in concorrenza con gli
spazi che il Comune intendeva assicurare al “gioco” e allo “sport” per i quali si
poteva prescindere dalla presenza della vegetazione arborea, come accade ad
esempio con la costruzione di un terreno per il calcio, o per il tennis.
In seguito all’entrata in vigore del decreto in esame, le sue disposizioni dovevano
divenire oggetto dei nuovi piani regolatori generali, dei relativi piani
particolareggiati, dei regolamenti edilizi ecc.. Appariva però evidente, per quanto
prima osservato, che tali disposizioni non potevano ritenersi esaustive della
richiesta di verde pubblico che, negli anni successivi all’emanazione del decreto,
buona parte della società civile, quella più colta e più sensibile alle problematiche
ambientali, andava richiedendo allorché le periferie delle città si dilatavano a
dismisura nelle città d’Italia a più vasta intensità residenziale in contemporanea
all’aumento dello spessore dei gas venefici e dei rumori.
Eppure quel decreto ministeriale non avrà in epoca successiva, come diremo tra
poco, quello sviluppo che era logico attendersi dal legislatore.

LA CREAZIONE DEI VIALI ALBERATI NELLA SOCIETA’ OTTOCENTESCA
Ora conviene osservare come fosse stata la società della seconda metà
dell‘ottocento a creare i viali alberati ed i parchi cittadini nelle maggiori città
italiane, oltrechè europee, mentre il secolo successivo, quello appena trascorso,
vivrà di rendita di quelle scelte che dovevano rimanere nel tempo a venire.
Se gli alberi esteriormente rappresentavano un fatto di abbellimento delle città ,
avevano però un ulteriore significato tutto interiore: essi costituivano un atto di
fede nel futuro, tipico di un secolo, come, appunto, l’ottocento, che vede
l’affermazione dell’idea romantica e la creazione di nuovi Stati nazionali. E’
questa, dunque, una società che non esprime valori effimeri o transeunti, ma al
contrario è assolutamente convinta delle proprie scelte perché si sente titolare di
messaggi di valore che intende trasmettere alle generazioni che si succederanno
nel corso dei decenni.
La messa a dimora del verde cittadino con il suo lungo ciclo biologico, è infatti
espressione di “stabilità”: evidenzia,cioè, una comunità di persone che intende
lasciare la propria impronta nel presente non esaurendola però nel contingente,
ma proiettandola nel futuro ben oltre , insomma, la propria vicenda storica
temporale.
Non a caso per conservare il ricordo dei soldati morti nella prima guerra
mondiale, nelle diverse città italiane si provvide a piantare un albero per ogni
cittadino residente caduto. Nacquero in tal modo i parchi della rimembranza, un
luogo sacro alla memoria nazionale e cittadina, da custodire al di là
dell’occasione che ne aveva determinata la nascita E non è neppure un caso
che questi parchi alberati siano oggi in Toscana per lo più- come ha dimostrato un
recente studio realizzato presso la Facoltà di Agraria ed Architettura di Firenze- in
stato miserando, se non di totale abbandono, diversamente da quanto si verifica
in altri Paesi che li hanno in gran cura.
Non pianta invece gli alberi una società che avverte la propria provvisorietà
perché priva di idealità da conservare per le generazioni che verranno e, in tal
senso vive il momento contingente senza un legame con il passato e senza una
prospettiva per il futuro. Non è allora un caso, che la nostra società
contemporanea, dopo aver varato una legge, in forza della quale per ogni nato
si sarebbe dovuto mettere a dimora un albero nel Comune di residenza, sia stata
nell’esperienza pratica pressoché disattesa.
Oggi però le tematiche intorno al verde non costituiscono più, o soltanto, una
scelta facoltativa di natura estetica, ma una necessità dalla quale dipende,in
buona misura, il livello della qualità della vita nelle nostre città ossia la nostra
stessa, come dicevamo all’inizio, salute fisica e psichica minacciata da
un‘ecologia inquinata ed alienata.
D’altra parte, è ormai un dato certo che negli ultimi anni sia fortemente cresciuta
la cultura ambientale e la consapevolezza che una città a misura d’uomo, come
si va invocando, è quella che mette al primo posto nella pianificazione del
territorio, gli spazi destinati al verde ed alla socializzazione, e che quindi educa gli
individui a proteggere il verde ed il territorio mediante comportamenti ed azioni
responsabili verso la collettività cittadina.
Tornando ora a quanto affermato in precedenza sulla non esaltante incidenza
pratica del decreto ministeriale del 1968 circa l’effettiva relazione tra volumi edilizi
e presenza del verde arboreo, occorre rilevare che quanti si aspettavano una
diversa considerazione di ciò per effetto dell’attuazione dell’ordinamento
regionale, realizzatosi nel 1972 in conseguenza del trasferimento delle
competenze in materia urbanistica alle Regioni, rimarranno delusi.

 L’INERZIA REGIONALE DOPO IL TRASFERIMENTO DELLA MATERIA URBANISTICA
ALLE REGIONI

Eppure era logico aspettarsi una presa di coscienza da parte del legislatore
regionale, nel senso di una migliore elaborazione e sviluppo in forma di legge,
delle disposizioni ministeriali del decreto del 1968. E però questo non si è verificato
fino all’inizio degli anni 2000 ,limitandosi semmai, come nel solo caso della legge
urbanistica della Regione Lombardia – la prima in ordine di tempo nel panorama
regionale in materia – al richiamo della normativa fissata nel Decreto del Ministro
dei Lavori Pubblici , quasi che il problema del verde urbano non riguardasse una
tematica di competenza delle Regioni, oppure lo ritenessero già garantito dalla
copertura vegetale assicurata alle città per effetto del decreto ministeriale, anche
quando appariva ormai decisamente datato.
E’ mancata insomma da parte del legislatore regionale, tranne qualche
eccezione nel tempo recente, una presa di coscienza volta a vedere nel verde
un patrimonio mediante il quale migliorare la vivibilità presente e futura delle
città.
Di certo le Regioni, a far data dall’entrata in vigore del decreto Presidenziale n.616
del 1977, avevano acquisito il governo del proprio territorio attraverso una
concezione della materia urbanistica che lo stesso decreto del Presidente della
Repubblica sopra richiamato, all’art. 80, aveva decisamente dilatato rispetto ai
canoni della disciplina in vigore- ma anche rispetto all’interpretazione che dell’
urbanistica ne aveva data la Corte Costituzionale appena 5 anni prima
risolvendo il conflitto tra Stato e Regioni in materia-fino al punto di comprendere
in essa anche la tutela dell’ambiente. Insomma, emergeva ormai chiaramente
una sorta di pan-urbanistica secondo l’affermazione, forse maliziosa, di alcuno,
che consentiva alle Regioni di avere il pieno controllo del territorio.
E però è anche vero che lo Stato, pur potendo emanare una legge
quadro,essendo l’urbanistica una materia di legislazione concorrente, e quindi
individuare come principio fondamentale della materia stessa, l’interesse al verde
cittadino, garantendolo attraverso un chiaro rapporto percentuale tra
l’edificazione consentita e la superficie a verde arboreo, lo Stato, dicevamo, è
rimasto, invece, silente e lo è ancora a tutt‘oggi, mentre non va dimenticato
come mediante legge dello Stato risalente al 1989, siano state emanate apposite
disposizioni concernenti i parcheggi automobilistici.
Seppur ci rendiamo conto della diversa urgenza delle problematiche, relative,
cioè, alla necessità dei parcheggi da una parte, ed all’esigenza del verde
dall’altra, nel senso che diverse sono le spinte sociali della quotidianità, rimane il
fatto che allorché viene in gioco la stessa sanità pubblica all’interno delle nostre
città, l’impianto del verde, al pari ovviamente della conservazione dell’esistente,
si caratterizza in termini non più dilazionabili.
Abbiamo detto prima come, a livello di legislazione regionale, non si era andati
oltre il richiamo delle disposizioni del decreto ministeriale del 2 aprile del 1968 e,
comunque, anche questo stesso richiamo costituiva un atteggiamento rimasto poi
isolato.
Le cose mutano in tempi recenti in riferimento ad alcune Regioni, tra le quali la
Regione Toscana (legge n.1 del 2005), che inseriscono nella legislazione di uso e
tutela del suolo” o di “governo del territorio”, a seconda delle denominazioni, una
disposizione mediante la quale si attribuisce alla Regione il potere di emanare un
regolamento concernente
il verde cittadino.
 LA REGOLAMENTAZIONE COMUNALE DEL VERDE URBANO: DUE DIVERSE
CATEGORIE DI COMUNI
Se questa è la condizione del verde arboreo a livello di interventi regionali,
occorre riconoscere che non sono, tuttavia, mancate manifestazioni decisamente
significative da parte dei Comuni, anche se rispetto alla loro entità, circa
ottomila, si tratta di un numero non certo elevato.
Ma a questo riguardo dobbiamo precisare che non ci riferiamo tanto alle
disposizioni avente ad oggetto il verde comprese all’interno delle norme di
attuazione dei piani regolatori comunali, oggi piani strutturali secondo una più
recente dizione, quanto a regolamenti di tutto spessore a fronte di altri, costituenti
ancora la maggioranza dei Comuni, relativi prevalentemente alla disciplina della
conservazione del verde privato e comprendenti anche prescrizioni – di modesta
rilevanza quanto alle attese dell’interesse pubblico- concernenti il verde pubblico
ed aventi sostanzialmente ad oggetto il sistema della potatura, come dell’
abbattimento degli alberi e ben poco d’altro di rilevante..
Va però subito osservato che la regolamentazione comunale non ha in sé la forza
giuridica per stabilire nuovi e più significativi standard urbanistici rispetto a quelli
stabiliti nel Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 1968. Occorre infatti
considerare il delicato equilibrio conseguente al sistema delle fonti del diritto
correlato con il regime proprietario dei beni che verrebbe inciso dalla norma
regolamentare con conseguente lesione del principio della riserva di legge in
materia di proprietà, poiché la sua disciplina verrebbe rimessa alla volontà
discrezionale di ciascuna Amministrazione comunale.
Detto questo, e prima di enunziare – cosa che faremo più avanti – i tratti
caratterizzanti una legge tipo regionale in materia di verde urbano, vale la pena
evidenziare ora due diversi tipi di regolamenti comunali del verde ovvero due
diverse categorie di Comuni nell’approccio al tema in questione.
La prima di queste due categorie di Comuni è rappresentativa di una cultura
stantia, che non ha cioè saputo rinnovarsi e in questo senso si preoccupa solo
della conservazione del verde esistente in quanto come elemento di natura
estetico-visiva. Ciò al di là di certe affermazioni “manifesto” che ne evidenziano
l’importanza della tutela ai “fini paesaggistici, culturali ed igienico–ambientale”,
come recita il regolamento del verde del Comune di Firenze”. Alla seconda
categoria appartengono ,invece, quei Comuni che concepiscono il verde
arboreo in quanto elemento qualificante la vita stessa dei residenti nella città.

Leggi anche   R. Piano (Mi|Arch - Lezioni pubbliche di architettura urbana)

 LA DISCIPLINA DEL VERDE NEI REGOLAMENTI DELLA PRIMA CATEGORIA DI
COMUNI
Per la prima categoria di Comuni ci è parso emblematico il regolamento del
“verde arboreo ed arbustivo “ di una città capoluogo di Regione della rilevanza
internazionale qual’ è la città di Firenze, che ha in vigore un regolamento risalente
all’inizio degli anni ’90,cui ha fatto seguito una sorta di disciplinare d’attuazione
che specifica nel dettaglio le modalità di esecuzione delle disposizioni
regolamentari in considerazione della pochezza e genericità delle sue prescrizioni.
Il regolamento fiorentino intende soprattutto mediante il contenuto di 13 articoli,
ad evitare la manomissione ed alterazione del patrimonio arboreo di proprietà
privata,e comunque solo che si tratti di alberi di alto fusto, il cui abbattimento una
volta considerato lo stato di necessità lamentato dal possessore, è subordinato
all’autorizzazione dell’Amministrazione comunale. Essa non incontra vincolo
alcuno nella determinazione della decisione che, con poca felice formulazione,ӏ
rimessa all’insindacabile giudizio dell’Assessorato all’Ambiente”. Così recita infatti
il comma 3 dell’art.9 del “Regolamento del patrimonio arboreo ed arbustivo” del
Comune di Firenze – approvato con delibera del Consiglio comunale n.380/342 del
1991- in relazione ai casi di urgenza dai quali può derivare pericolo per la pubblica
incolumità.
E’ da mettere in evidenza che le violazioni di alcune disposizioni regolamentari,
quelle di maggiore interesse generale, vengono sanzionate con un generico
richiamo alle prescrizioni di ”legge” che in tal modo rimane indeterminata.
Per quanto riguarda il verde pubblico si osserva come ci si limiti a dettare le
modalità della sua gestione, nell’indicare la preferenza nella scelta delle specie
arboree autoctone da mettere a dimora rispetto a quelle esotiche, il cui impiego
va limitato a casi ben specifici e motivati, negli accorgimenti da osservare nella
potatura e nell’ abbattimento degli alberi ecc..
Infine vanno rilevate le norme antiparassitarie, previste, anzi richiamate, dall’ art.15
del regolamento in relazione, in particolare, alla potatura ed all’abbattimento
delle piante malate.
In conclusione regolamento del patrimonio arboreo della città di Firenze può
definirsi un regolamento tipo, od almeno così ci è parso di doverlo considerare nel
senso che lo ritroviamo in termini nel loro complesso poco diversi tra loro, in molti
altri Comuni d’Italia e più precisamente in tutti quei Comuni- secondo la nostra
ricerca la maggioranza – che mantengono ancora in vigore una
regolamentazione datata, non tanto dal punto di vista temporale, quanto dal
punto di vista culturale. Dove, cioè, il verde viene ancora inteso solo come un
fatto di abbellimento della città, una cornice esteriore di questa e non un dato
facente parte del suo tessuto connettivo, nella considerazione della complessità e
molteplicità delle funzioni che il bene verde esprime, ben oltre la funzione estetica,
di certo di tutto rilievo, ma non da considerarsi esclusiva.
In questo senso il verde urbano e peri-urbano diviene parte integrante od
essenziale dello svolgimento della vicenda quotidiana dei residenti, secondo i
canoni di una cultura che vuole una città a misura d’uomo e che riscontriamo di
frequente nei regolamenti comunali emanati, in generale, a partire dagli inizi
degli anni duemila.

LA DISCIPLINA DEL VERDE NEI REGOLAMENTI DELLA SECONDA CATEGORIA DI
COMUNI
Come esempi tipo di quella che abbiamo detto sopra essere la seconda
categoria di regolamenti comunali del verde in quanto manifestazione di un
nuovo modo di pensare la stessa vita cittadina, abbiamo scelto, perché ci sono
parsi particolarmente significativi, i regolamenti dei Comuni di Venezia , Torino,
Pesaro e Rimini ricadenti in quattro Regioni diverse. Le prime due città sono
Comuni capoluogo di Regione entrambi di rinomanza internazionale, il secondo è
un capoluogo di Provincia ed il terzo è un Comune di rilevante interesse, in
particolare per il turismo estivo.
Incominciamo il nostro breve esame con il regolamento veneziano che, è bene dir
subito, ha tutt’altro spessore culturale rispetto a quello fiorentino, pur con tutti i
limiti giuridici di un regolamento locale, e ciò già nel titolo che ha come oggetto
non solo la tutela,ma anche la promozione del verde in città.
Colpisce immediatamente come caratteristica distintiva del nuovo approccio
culturale la iniziale finalità del regolamento individuata, come sopra abbiamo
osservato, nella tutela nonchè promozione del verde in quanto “elemento
qualificante del contesto urbano e fattore di miglioramento della qualità della
vita”.
Ma va anche sottolineato come dato giuridico di grande interesse l’intitolazione
dell’ art. 4 del regolamento che recita “I diritti fondamentali del verde in città”. In
tale articolo si afferma che “la vegetazione deve essere rispettata come ogni altro
organismo vivente in quanto “elemento di identità del territorio locale e come
fattore determinante della qualità della vita degli abitanti”. Conseguenza,
riteniamo, di tale affermazione, è il disposto della lettera c) dello stesso art.4 per
cui la vegetazione “deve essere considerata nelle scelte di trasformazione
territoriale”. Disposizione questa, se vogliamo, abbastanza indeterminata, nel
senso che non crea quantificabili obblighi giuridici – né essa avrà significative
specificazioni negli articoli successivi – ma che tuttavia è manifestazione di una
precisa volontà che non potrà essere trascurata dai soggetti preposti alla
pianificazione urbanistica per via dell’interesse pubblico che alla vegetazione
viene attribuita nella normativa.
Correlata alla disposizione appena enunziata, è l’altra rinvenibile nell’art.15 per la
quale il “Comune di Venezia si impegna ad evitare l’abbattimento di alberi a
meno che non sia assolutamente necessario”. E d’altra parte questa necessarietà,
che si riferisce tuttavia alle alberature pubbliche, non è chiaro se ricorra solo nel
caso – in seguito peraltro ad autorizzazione – che le piante siano morte o
compromesse nella loro stabilità, oppure anche quando ricorrano esigenze di
natura urbanistica, allorché, ad esempio, la previsione di opere di interesse
pubblico richieda il sacrificio di alberi, come potrebbe lasciare intendere la
prescrizione dell’art.15 del regolamento in esame dove recita che “eventuali
abbattimenti di interi filari devono essere previsti in ambito di pianificazione” senza
ulteriore aggettivazione o specificazione. Ma potrebbe anche trattarsi,
considerato il contesto della normazione, che ci si riferisca alla stessa
pianificazione del verde sicchè rimane impregiudicato il rapporto tra
pianificazione urbanistica e pianificazione del verde col risultato che l’urbanistica
ponendosi come governo del territorio a 360 gradi finisce per porsi ad un livello di
sovraodinazione rispetto alla disciplina del verde, della quale non può tuttavia non
tener conto,come già in precedenza abbiamo detto, per lo spessore che il
regolamento del verde esprime in relazione alle funzioni di interesse generale
correlate alla stessa tutela della salute.
Di certo l’abbattimento di un albero obbliga al suo ripristino – senza che nel
regolamento appaia la distinzione tra il patrimonio arboreo pubblico e quello
privato- per quanto possibile nello stesso sito.
Non pochi e significativi sono i segnali che si avvertono nel regolamento del verde
del Comune di Venezia sul rapporto tra uomo e natura, nel nostro caso specifico
tra l’uomo ed il verde silvano; tra questi segnali vogliamo rilevare il disposto
dell’art.28, I comma, relativo al verde privato, dove le sue funzioni sono individuate
nella depurazione biochimica dell’aria, nella fissazione delle sostanze tossiche e
delle polveri, nello smorzamento dei rumori, nella stabilizzazione del microclima,
nel contenimento del rischio idrogeologico nelle aree rurali e lungo i canali, e da
ultimo nell’addolcimento del paesaggio urbano. Di qui discendono le disposizioni
dalle quali si evince l’attenzione che il proprietario delle piante silvane deve avere
perchè queste funzioni siano garantite al meglio.
Allo stesso modo vanno segnalate le iniziative pubbliche volte alla sensibilizzazione
ambientale ed alla promozione della cultura del verde, come pure alla sua
partecipazione responsabile, in particolare mediante l‘organismo denominato
Forum del verde. Ma vanno anche segnalate le disposizioni contenute nel capo V
del regolamento che reca il titolo “Vivere il verde pubblico” dove si avverte la
particolare attenzione che viene manifestata all’utilizzazione delle aree verdi da
parte della cittadinanza, Infine il regolamento veneziano prevede per i trasgressori
alle proprie disposizioni regolamentari, in forza del richiamo operato al D.Lgs.18
agosto 2000 n.267, la sanzione amministrativa che va da un minimo, a seconda
della gravità della violazione, di 25 euro fino ad un massimo di 5000 euro.
Detto del regolamento della città di Venezia non possiamo trattenerci più di tanto
sul regolamento della città di Torino che esprime valori non dissimili dal primo. Esso
è stato approvato con delibera del Consiglio comunale del 6 marzo 2006 e,
successivamente modificato, è stato reso esecutivo in data 30 novembre 2009.
Si tratta di regolamento di rilevante interesse naturalistico, estremamente
dettagliato svolgendosi in ben 90 articoli corredati da 10 allegati, oltrechè da
figure illustrative, che dimostrano con quanta cura ed attenzione esso sia stato
redatto. Possiamo affermare che nulla è trascurato della disciplina concernente il
verde in tutti i suoi risvolti, ad iniziare dal riconoscimento delle sue funzioni
considerate “ essenziali per la salute pubblica, contrastando l’inquinamento
atmosferico, termico, chimico ed acustico”. Viene inoltre evidenziato, al di là del
valore estetico- paesaggistico del verde, il ruolo che esso svolge per
“l’educazione naturalistica ed il miglioramento della qualità urbana, con
benefiche ricadute sullo sviluppo turistico ed economico della città.”
Tuttavia il regolamento torinese, che non a caso abbiamo trattato dopo il
regolamento della città di Venezia, ci è parso meno significativo di quest’ultimo
in un dato di fondamentale importanza laddove il regolamento veneziano
esprimeva una volontà, non importa se all’atto pratico probabilmente velleitaria,
di affermare comunque il ruolo del verde in competizione con la pianificazione
urbanistica, nel senso di relazionare agli spazi verdi le nuove costruzioni edilizie e la
formazione dei parcheggi pubblici.Nel regolamento della città di Torino v’è
invece una espressa volontà di soggezione alla pianificazione urbanistico. Si legge
infatti in questo regolamento che “le aree a verde esistenti e di progetto, nonché
le alberature sono disciplinate dal Piano Regolatore Generale”(art.14) e si
specifica inoltre che la pianificazione del verde urbano trae origine da
quest’ultimo piano e alle sue prescrizioni deve conformarsi, senza però che sia
dato sapere in quale misura l’interesse al verde sia preso in considerazione dallo
strumento urbanistico. Detto ciò non si possono certo trascurare le garanzie che
vengono richieste in relazione agli abbattimenti delle alberature pubbliche, la
cura disposta nelle potature, i criteri di manutenzione delle piante nelle aree di
cantiere, gli interventi di riassetto idrogeologico,la disciplina del verde pensile, la
stessa sensibilizzazione e promozione della cultura del verde ecc.
Vediamo ora i tratti salienti del regolamento del verde dei Comuni di Pesaro, del
settembre del 2006, e di Rimini, dell’aprile del 2001, dei quali dicevamo sopra
allorché gli abbiamo presi come modelli, insieme al Comune di Venezia e di
Torino, di quella seconda categoria di Comuni che hanno rotto col sistema
tradizionale di concepire il verde unicamente come fatto di abbellimento della
città, una sua cornice esteriore e nulla più: che è quanto abbiamo rinvenuto nel
regolamento del Comune di Firenze considerato da noi come esempio
emblematico di quella prima categoria di Comuni, che risultano ancora in
maggioranza, ma che esprimono una concezione del verde ormai stantia.
Il primo dato comune ad entrambe le normative regolamentari di Pesaro e Rimini
sono costituite dalla ragione della tutela del patrimonio verde nella sua
complessità ovvero dal nuovo significato attribuito al verde cittadino inteso- come
già dal Comune di Venezia e di Torino quale “ valore fondamentale da tutelare
per preservare e migliorare la vivibilità presente e futura della città e del suo
territorio. Recita l’art. 2 del regolamento del Comune di Pesaro – ed in modo
analogo il regolamento del Comune di Rimini – che “le aree verdi, i parchi e i
giardini accompagnano il vivere quotidiano nelle nostre città ed assolvono alle
funzioni di regolare gli effetti del microclima, incidono favorevolmente sulla
depurazione dell’aria e dell’acqua, fanno da barriera ai rumori, hanno un’azione
antibatterica, di difesa del suolo e di conservazione della biodiversità.
Rappresentano inoltre spazi gradevoli per sostare,passeggiare, giocare e
riflettere”.
Ma c’è anche, e soprattutto nei due regolamenti che andiamo esaminando, la
volontà di quantificare, seppure in misura lievemente diversa, la relazione in
termini percentuali tra l’espansione urbanistica e la superficie a verde nel territorio
urbanizzato. In essi vi si legge che nel caso di nuovi insediamenti deve essere
prevista una quota di superficie destinata a verde non inferiore ad una
percentuale del 30% per il Comune di Pesaro e del 20% per il Comune di Rimini,
della superficie fondiaria interessata.
E però, mentre pel regolamento del Comune di Rimini la disposizione è
subordinata secondo il principio generale alla prescrizioni del piano regolatore in
vigore e quindi farà stato, dal momento in cui il piano esistente sarà sostituito da
altro successivo. Nel caso del Comune di Pesaro la prevista percentuale di verde
cede comunque di fronte ad una diversa previsione del piano regolatore
generale. Il che non può meravigliare più di tanto se si considera che il
regolamento del verde soffre di un’ obbiettiva debolezza in mancanza di una
specifica norma di legge alla quale fare riferimento, a differenza del piano
regolatore generale che trova a monte una diffusa disciplina in termini di atti
legislativi che gli consente di dispiegarsi a 360 gradi sul territorio.
Tuttavia non può sfuggire come la disposizione regolamentare sopra riportata
costituisca il segnale di un volontà politica che fa emergere il verde arboreo ed
arbustivo come dato che evidenzia la sua compenetrazione con il vissuto della
città, e in tale condizione di profeta disarmato, il regolamento del verde si pone di
fronte all’urbanistica.
Una norma di tenore analogo la ritroviamo riguardo ai parcheggi dei due Comuni
in esame, i quali prevedono nel caso di realizzazione dei parcheggi pubblici,
come anche dei parcheggi privati soggetti agli standard urbanistici, una
percentuale della intera superficie dovrà essere,nella misura del 30% per il
Comune di Rimini e di almeno il 33% per il Comune di Pesaro, destinata a verde.
Con la differenza che nel caso di quest’ultimo Comune, la disposizione cede di
fronte ad una diversa previsione delle norme di piano regolatore, diversamente
dal Comune di Rimini che tace al riguardo, ritenendo probabilmente la misura
calcolata nel rispetto degli standard urbanistici dei quali abbiamo detto all’inizio.
Molte altre, e di notevole interesse, sono le disposizioni rinvenibili nei circa 40
articoli dei due regolamenti comunali relative alla manutenzione, realizzazione,
progettazione, salvaguardia, fruizione valutazione , difesa contro le malattie ecc.,
del verde urbano e periurbano, e sulle quali potremmo trattenerci a lungo.
Basti qui averne fatto cenno al fine di capire la dimensione dell’interesse e della
qualificazione che entrambi i Comuni di Pesaro e Rimini hanno attribuito al verde,
tanto pubblico che privato, in termini di servizi generali in favore dell’intera
collettività cittadina.
Un dato però vogliamo ancora segnalare riguardo al regolamento pesarese,
allorchè prevede l’obbligo dell’indennizzo in favore del Comune da parte del
proprietario privato di un albero abbattuto, naturalmente in seguito ad
autorizzazione, per consentire l’ampliamento od una nuova costruzione edilizia.
E’ facile riconoscere nella norma il rilievo dell’interesse pubblico che si ricollega
alla presenza del verde,nella fattispecie di un’alberatura, ancorché privata, dal
momento che il proprietario dell’albero abbattuto deve un indennizzo alla
Comunità dei residenti rappresentata giuridicamente dal Comune.
PER UN MODELLO LEGISLATIVO REGIONALE DI DISCIPLINA DEL VERDE URBANO E PERIURBANO
E’ il momento di occuparci di una legge regionale tipo di disciplina del verde
della quale abbiamo detto in precedenza, da porsi come una sorta di legge
quadro per i regolamenti comunali. Una legge per la quale le Regioni non trovano
vincolo alcuno per il solo fatto che non esiste a livello di legge dello Stato un testo
specifico di riferimento. Una normativa specifica concernente il verde, e tuttavia
come fatto di rilevanza urbanistica e perciò stesso all’interno di questa materia, la
troviamo infatti solo nel Decreto ministeriale 2 aprile 1968 , più volte richiamato,
che però per il principio della gerarchia delle fonti è molto dubbio che possa porsi
quale norma costitutiva di principi fondamentali della materia tali da imporsi alla
legislazione regionale.
Vediamo dunque i tratti caratterizzanti una legge regionale tipo avente ad
oggetto il verde. Questa dovrà in primo luogo indicare le ragioni stesse della sua
disciplina ad iniziare dalla definizione del verde, per poi individuare le funzioni di
interesse generale che esso assolve, dalla mitigazione dell’inquinamento
atmosferico ed acustico, all’attenuazione delle variazioni microclimatiche relative
alla temperatura e alla depurazione dell’aria, al miglioramento del benessere
psichico, fisico e sociale in generale dei residenti, all’abbellimento del paesaggio
e dell’estetica cittadina, alla riduzione dei tempi di smaltimento delle pioggie,
all’azione di sostegno alla biodiversità, ed anche all’azione antisettica. Occorrerà
quindi che il testo della Regione evidenzi il significato concreto della tutela del
verde con l’indicazione degli strumenti di tutela delle diverse aree considerate dal
punto di vista naturalistico ed estetico-ricreativo. D’altra parte la tutela del verde
implica, e qui siamo al punto successivo, la previsione di criteri di gestione del
verde.
La legge regionale non potrà non affrontare d’altra parte, il tema della
progettazione del verde e quindi della sua realizzazione mirando ad ottenere la
migliore riuscita funzionale. Qui si tratterà di privilegiare le specie vegetali
autoctone e naturalizzate e più in generale di adottare le soluzioni consone
all’ambiente come anche al paesaggio circostante; ciò vale, in particolare, per la
dotazione del verde nella viabilità pubblica ossia lungo l’asse stradale.
Un altro punto di tutta rilevanza nella legge deve essere quello circa la relazione
tra i nuovi volumi edilizi ed il verde cittadino, nel senso che per ogni nuova
concessione edilizia sarà necessario prevedere anche la presenza del verde,
cosicché rispetto ai nuovi volumi edificati vi sarà una superficie di verde arboreo
non inferiore al 5%.
Ugualmente per quanto riguarda la nuova realizzazione di parcheggi pubblici, ed
anche dei parcheggi di pertinenza di strutture ricettive di interesse pubblico, pur
anche di natura commerciale come i supermercati, deve esser prevista la
sistemazione a verde di una superficie pari almeno al 25% dell’area complessiva
occupata dal parcheggio.
Un punto specifico della legge non potrà prescindere dagli interventi manutentori
del verde arboreo che, per quanto riguarda la potatura ordinaria deve esser
limitata alla rimozione delle porzioni di chioma che pregiudichino la salute e la
stabilità della pianta evitando in tal modo di ricorrere alla capitozzatura degli
alberi e cioè al drastico accorciamento del tronco e delle branche primarie fino
alla prossimità di queste.
L’abbattimento,poi di uno o più di alberi, deve avere carattere straordinario esser
cioè limitato ai casi nei quali la pianta arreca un grave e reale disturbo, o dannno
anche potenziale, a persone e cose. Gli abbattimenti delle piante arboree non
potranno in generale essere effettuati, salvo ovviamente i casi di necessità ed
urgenza, e quindi di non procastinabilità, nei periodi di riproduzione dell’avifauna
e comunque facendo salvi i nidi. Ogni abbattimento di alberi di proprietà
pubblica obbliga l’Amministrazione al suo reimpianto possibilmente nello stesso
sito cosicché l’indice del verde cittadino permanga inalterato.
Una ulteriore disposizione della legge regionale che andiamo proponendo, dovrà
essere mirata alla cura della difesa delle piante nelle aree di cantiere facendo
obbligo ai soggetti interessati di adottare tutti gli accorgimenti utili ad evitare il
danneggiamento della vegetazione esistente, quale può essere la realizzazione di
solide recinzioni che racchiudano le superfici di pertinenza delle piante. Anche
l’espianto degli alberi come pure il suo successivo reimpianto non può sfuggire
alle disposizioni della legge regionale.
Una attenta, se non puntuale, normazione, riguarderà la fruizione del verde
pubblico al fine principalmente di rispondere alle esigenze di conservazione del
bene e prevenire in tal modo comportamenti che ne compromettano il
godimento e l’uso. Correlata a questa disposizione ve ne sarà un’altra che
consideri i danneggiamenti rinvenibili in tutte le attività doloser e colpose che
direttamente o indirettamente possono compromettere l’integrità e lo sviluppo
delle piante arboree ed arbustive al pari dei manti erbosi. Oltre a questa
disposizione non ne potrà mancare un’altra diretta a valutare il danno subito dalla
pianta, insieme alla previsione di sanzioni per i trasgressori alle norme di tutela.
Crediamo di poter terminare questa prospettazione di una disciplina di legge
regionale, alla quale daranno dettagliata attuazione i regolamenti di ciascun
Comune, con la previsione di prescrizioni dirette alla lotta ai parassiti ed alle
malattie delle piante.

Leggi anche   La Legge Urbanistica Nazionale del 1942: la genesi

Bibliografia

L’assoluta mancanza di riferimenti di natura legislativa sia a livello statale, ma anche a livello regionale, quanto meno per la modestia dello spessore normativo se lo si riferisce – come deve essere – in modo specifico al verde cittadino, ha fatto sì che l’unica fonte normativa sia ancora costituita – a parte quella decisamente polverizzata dei regolamenti comunali- dal Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968, che però non ha suscitato particolare interesse nella dottrina giuridica. Si deve però fare eccezione per i riferimenti al settore rinvenibili nei manuali universitari che trattano la disciplina urbanistica tra i quali ricordiamo per la loro organicità , ma anche per le numerose edizioni, due testi, quello di Filippo
Salvia e Francesco Teresi, dal titolo, “ Diritto urbanistico”, edito dalla Cedam di
Padova e l’altro testo ad opera di Giancarlo Mengoli dal titolo, “ Manuale di
diritto urbanistico” edito da Giuffrè di Milano.
E’ significativo di quanto sopra detto ossia dello scarso interesse mostrato dai giuristi al tema – ripetiamo – specifico del verde urbano, che le due enciclopedie del diritto esistenti in Italia e cioè il Digesto della Utet, nella sua ultima edizione, e l’Enciclopedia del diritto dell’editore Giuffrè, ignorino la voce ”verde”.
di Alberto Abrami

tratto da: https://italianostrafirenze.wordpress.com/2011/11/27/la-disciplina-giuridica-del-verde-urbano-e-periurbano/

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