Perequazione e compensazione sono due strumenti affini e in qualche modo complementari nella pianificazione urbanistica.
Negli strumenti urbanistici più recenti il pianificatore comunale ha adottato soluzioni tecniche alternative alla procedura espropriativa:
- cessione compensativa
- cessione perequativa
Compensazione
La compensazione consiste nel riconoscimento di un diritto edificatorio (credito edilizio) di natura premiale, per incentivare la riqualificazione dell’ambiente urbano e del paesaggio attraverso la demolizione delle opere incongrue. I diritti edificatori possono essere concessi come compensazione per:
- la disponibilità del privato a cedere gratuitamente all’Amministrazione, terreni anziché richiedere l’indennità di esproprio;
- la perdita, da parte del privato, di diritti edificatori riconosciuti dell’Amministrazione in seguito a sopravvenute esigenze pubbliche (protezione dal rischio idrogeologico, tutela del paesaggio).
La legge n. 308 del 2004 disciplina la compensazione traslativa nel caso in cui, per effetto di vincoli sopravvenuti diversi da quelli di natura urbanistica, non è più esercitabile il diritto di edificare già acquisito. In tali casi, è facoltà del titolare chiedere al Comune di esercitare il diritto in altra area di cui abbia la disponibilità. La traslazione del diritto comporta la cessione a titolo gratuito al Comune dell’area.
Spetta alle regole perequative il compito di definire criteri espliciti e trasparenti, per arrivare alla determinazione di diritti edificatori compensativi equi sia urbanisticamente sia economicamente.
Mediante la compensazione il pianificatore impone in via autoritativa il vincolo espropriativo su aree private, che sono pertanto «destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree» .
In tali aree, dunque, il Comune appone un vincolo c.d. preespropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione.
Al contempo però, mediante l’istituto della cessione compensativa, il privato ottiene i c.d. crediti compensativi.
Come dalla sentenza del T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, sent. n. 4671/2009
Osserva il medesimo indirizzo che la c.d. cessione compensativa consente di ristorare il proprietario «mediante attribuzione di ‘crediti compensativi’ od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario»
“nella compensazione il vincolo è sempre presente, il momento autoritativo è presupposto del fenomeno che è volto a risolvere gli effetti negativi delle previsioni urbanistiche sfavorevoli: con il loro consenso i privati incisi dal vincolo possono ottenere un vantaggio superiore a quello ritraibile dall’indennizzo pecuniario”
In buona sostanza mediante la cessione compensativa, al privato titolare dell’area da espropriare è destinato un corrispettivo «in volumetria (diritto edificatorio) o in aree in permuta (anziché in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l’area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso in cui venisse espropriata)»
PEREQUAZIONE
La perequazione si sta diffondendo nella pianificazione urbanistica come soluzione pratica alla crisi del piano generale pubblicistico basato sull’esproprio e come strumento per rendere praticabile un interesse pubblico coinvolgendo positivamente soggetti privati.
Con il termine perequazione in urbanistica si intende il principio “la cui applicazione tende ad ottenere due effetti concomitanti e speculari: la giustizia distributiva nei confronti dei proprietari dei suoli chiamati ad usi urbani, e la formazione di, senza espropri e spese, un patrimonio pubblico di aree al servizio della collettività” (S. Pompei, Il piano regolatore perequativo, Milano, 1998)
La perequazione non va confusa con la compensazione, attraverso la quale si concedono diritti edificatori a fronte della gratuita cessione di terreni privati per la costruzione di opere pubbliche o della realizzazione di opere di urbanizzazione.
Con una certa approssimazione, dovuta alla varietà della terminologia impiegata dai contributi scientifici e dai legislatori regionali, si può ritenere perequativo il piano urbanistico nel quale ricorrano questi due elementi:
- Omogenea attribuzione dei diritti edificatori tra i proprietari (a prescindere quindi dall’eventuale edificabilità dell’area);
- Possibilità di trasferire i diritti edificatori da un’area ad un’altra.
Tipologie di perequazione urbanistica
A seconda dell’area del territorio comunale interessata dal meccanismo perequativo si può avere:
- Perequazione urbanistica di comparto, che avendo come finalità la realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, permette ai proprietari di territori di accordarsi tra di loro riguardo alla concentrazione di volumetrie all’interno di una determinata area, in modo tale da non creare svantaggi per alcuno;
- Perequazione urbanistica estesa, che nell’ambito della realizzazione di quanto previsto nel piano urbanistico, dà la possibilità ai proprietari di determinate aree di realizzare su alcuni lotti una concentrazione delle volumetrie e nel contempo, negli altri, la realizzazione di opere di interesse collettivo.
L’obiettivo della perequazione è il pari trattamento delle proprietà immobiliari oggetto di trasformazione urbanistica, associato alla compensazione delle proprietà i cui beni servono per realizzare opere di urbanizzazione primaria e secondaria e opere pubbliche: la realizzazione di alloggi sociali, il miglioramento dell’efficienza energetica, la sicurezza, specie in zone a rischio idrogeologico e sismico, l’integrazione sociale, la riqualificazione dell’ambiente urbano e il recupero e riuso delle aree dismesse.
La perequazione tiene conto delle differenze di valore per ragioni economiche (stato di fatto, catasti esistenti), e giuridiche (stato di diritto e vincoli) e va abbinata a modelli premiali; adottando un trattamento analogo fra gli ambiti che presentano le stesse caratteristiche urbanistiche, la perequazione si avvale di dispositivi tecnici e misure coercitive (obbligo all’accordo), incentivanti (vantaggi cooperativi), miste o inerenti alla traslazione dei diritti.
La perequazione può essere:
• generalizzata, cioè estesa a tutte le trasformazioni urbanistiche in aree edificate da ristrutturare o inedificate interstiziali, marginali da costruire;
• parziale, cioè applicata solo a specifici e localizzati ambiti di trasformazione, generalmente finalizzata all’ottenimento di specifici obiettivi o di mirate politiche urbane (ad es. la realizzazione di un parco).
La cessione perequativa è invece alternativa all’espropriazione; il T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, con la sent. n. 4671/2009 si è pronunciato in materia:
Essa «non prevede l’apposizione di un vincolo preespropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici ma prevede che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune».
In altri termini, in base al modello perequativo, tutti i terreni sviluppano una propria volumetria, ma essa potrà essere sfruttata soltanto su specifiche aree.
Si parla in proposito di aree di decollo dei diritti edificatori e aree di atterraggio degli stessi «la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore dell’amministrazione sviluppa volumetria propria (espressa, appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito) che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità (aree alle quali è attribuito un indice urbanistico adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione»).
Inoltre la Sezione IV del Consiglio di Stato nella decisione n. 4545 del 13 luglio 2010, n. 4545 (nello stesso senso v. inoltre Cons. St., Sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4321), osserva come i pilastri fondamentali della disciplina perequativa siano due:
- la potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione;
- la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse (art. 11 legge 7 agosto 1990, n. 241).
Primo pilastro
Quanto al primo pilastro, e cioè per quanto riguarda il potere confermativo, la Sezione IV del Consiglio di Stato rileva le prescrizioni urbanistiche perequative siano in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio. Il meccanismo perequativo non è infatti idoneo ad incidere direttamente e immediatamente sullo statuto della proprietà e non viola pertanto l’art. 42 della Costituzione
Mediante tale tecnica lo strumento urbanistico attribuisce indici di fabbricabilità alle aree dallo stesso contemplate. Non si ha quindi una riserva alla mano pubblica di quote di superficie, incidendo sulla totalità della capacità edificatoria dei suoli, ivi compresa quella in atto già da questi posseduta; il che realizzerebbe una forma larvata di esproprio
Il modello perequativo contempla una fase statica, di assegnazione a ciascuna zona della propria destinazione urbanistica e dei relativi indici di edificabilità, ed una fase dinamica «idonea a prevedere la possibile evoluzione futura dell’assetto del territorio comunale: in tale prospettive, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche, urbanizzazioni e infrastrutture, in aggiunta e in alternativa all’imposizione di vincoli su specifici suoli finalizzati a future espropriazioni, per il reperimento dei suoli e delle risorse necessarie sono stati introdotti i meccanismi appena descritti» .
Nella fase statica, l’Amministrazione fa mediante la perequazione è in primo luogo attribuire ai suoli un determinato indice di edificabilità, il che è espressivo dell’ordinario esercizio del potere di pianificazione; nella fase dinamica, il pianificatore procede «a porre le basi per possibili incrementi futuri della cubatura edificabile, predisponendo i meccanismi con i quali questa potrà essere riconosciuta ai vari suoli, in ragione della loro zonizzazione e tipologia».
In tal modo non viene in alcun modo ad essere integrata una sostanziale ablazione della proprietà né una surrettizia sottrazione di volumetrie .
Secondo pilastro
Il secondo pilastro della perequazione urbanistica è il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse.
Detti strumenti non concretano invero la sostituzione con moduli convenzionali della pianificazione generale, la quale conserva invece i connotati di atto provvedimentale e autoritativo, interamente promosso e gestito dall’Amministrazione.
Gli strumenti privatistici e consensuali sono destinati a intervenire nella fase attuativa delle prescrizioni poste dallo strumento urbanistico generale.
Il Consiglio di Stato osserva come:
«il ricorso a moduli convenzionali nella fase della pianificazione attuativa del P.R.G. non è certo ignoto all’esperienza del nostro ordinamento» e in proposito rammenta:
- le convenzioni di lottizzazione,
- gli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, i quali «costituiscono proprio una applicazione, alla particolare materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse».
Inoltre viene infine osservato come la “copertura” normativa degli strumenti negoziali attuativi della perequazione urbanistica vada individuata nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 legge n. 241.1990,
Grazie alle tecniche perequative, pertanto:
l’Amministrazione predetermina le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, dall’altro lato,
Detti strumenti saranno attivati «solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati e, cioè, di voler fruire della volumetria aggiuntiva assegnata ai loro suoli dal P.R.G.» .
Qualora tali meccanismi non fossero attivati, ma il Comune avesse comunque interesse alla realizzazione della c.d. “Città pubblica”, non resterà che attivarsi con gli strumenti tradizionali « in primis le procedure espropriative , naturalmente, se del caso, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica» .
Cosicché il Consiglio di Stato, «è proprio la natura “facoltativa” degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, a escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost».
Né la facoltatività degli strumenti negoziali viene meno, osserva sempre il Consiglio di Stato, ove il pianificatore comunale predetermini in via autoritativa i contenuti essenziali degli accordi che l’Amministrazione e i privati andrebbero a concludere: «siffatta predeterminazione è coerente con l’interesse pubblico al cui perseguimento, giusta il citato art. 11 della legge nr. 241 del 1990, gli accordi in questione sono finalizzati: a tale interesse invero, proprio in quanto ricomprende gli obiettivi perequativi più volte richiamati, è intrinsecamente connessa l’esigenza di garantire la par condicio fra i privati proprietari di suoli soggetti a eguale disciplina urbanistica, esigenza che all’evidenza sarebbe frustrata qualora fosse rimesso integralmente al momento della contrattazione privata – quasi che questa fosse espressione di mera autonomia privata, e non coinvolgesse invece interessi di rilevanza pubblicistica – la definizione dei termini e delle modalità della “contropartita” che ciascun privato dovrà assicurare all’Amministrazione in cambio della volumetria edificabile aggiuntiva riconosciutagli dal Piano» .
Nella legislazione urbanistica della Lombardia, in sintesi.
Compensazione
La compensazione è il principio secondo cui l’amministrazione comunale, in cambio della cessione gratuita di un’area sulla quale intende realizzare un intervento pubblico, può concedere al proprietario del suolo un altro terreno in permuta o della volumetria che può essere trasferita su altre aree edificabili. Questa volumetria è liberamente commerciabile. Ovviamente il privato può realizzare in proprio l’intervento pubblico stipulando un’apposita convenzione con l’amministrazione comunale.
I comma 3 e 4 articolo 11 della suddetta legge 12 normano le possibilità di compensazione.
Perequazione
Per perequazione urbanistica si intendono due concetti tra loro distinti. Il principio secondo cui i vantaggi derivanti dalla trasformazione urbanistica devono essere equamente distribuiti tra i proprietari dei suoli destinati ad usi urbani e il principio secondo cui questi vantaggi debbano essere condivisi con la comunità dotandola, senza espropri e spese, di un patrimonio pubblico di aree a servizio della collettività
Questo concetto è introdotto dal comma 2 articolo 11 della suddetta legge 12.
Fonte: http://www.studiolegalepn.it/avv-ettore-nesi-2013-04-30-nota-perequazione/
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